Qualche tempo fa, un noto esponente della Confindustria affermava che compito della Scuola doveva essere solo quello di produrre "menti d'opera" funzionali alle esigenze tecniche e produttive delle imprese evitando, in ogni modo, le dispersioni "enciclopediche".
Gli facevano eco le "tesi" della Lega Nord, che sosteneva che la Scuola deve limitarsi a preparare "i giovani al lavoro e alle professioni, senza indulgere ad esperimenti che creino demotivazioni e disadattamento alle regole della nostra civiltà", e quelle dell'allora ministro D'Onofrio, secondo il quale una Scuola che non è essenzialmente basata sulla formazione professionale produce "le frustrazioni" tipiche di "uno studente in rivolta".
Questo modo di intendere la Scuola, propria dell'ideologia neoliberista, che oggi dilaga anche in Italia, divorando progressivamente tutte le conquiste sociali e gli stessi diritti fondamentali stabiliti nella nostra Costituzione, trova le proprie tesi nel pensiero di alcuni teorici che incredibilmente ci fanno retrocedere di secoli.
Così, ad esempio, il Mandeville sostiene che "il benessere e la felicità di ogni stato e di ogni regno richiedono che le conoscenze di un lavoratore povero siano ristrette nei limiti del suo lavoro e non travalichino mai il confine di ciò che interessa la sua occupazione.
Quante più cose del mondo e di ciò che è estraneo al proprio lavoro o impiego conosce, un pastore, un aratore, o qualsiasi altro contadino, tanto meno sarà adatto a sopportare le fatiche e le durezze del proprio lavoro con gioia e soddisfazione.
L'equilibrio della società [richiede] che i poveri lavoratori [rimangano] ignoranti di tutto ciò che non riguarda direttamente il proprio lavoro".
Non meno esplicito è, poi, il pensiero di Le Bon secondo il quale fornire nozioni superflue e "pericolose" al lavoratore provocano in lui "un disgusto violento della condizione in cui è nato, e l'intenso desiderio di uscirne" ampliando, nel contempo, quell'«esercito di proletari malcontenti della loro sorte e sempre pronti alla rivolta».
Dunque, la Scuola per questi predicatori del neoliberismo non deve creare riflessione, consapevolezza del proprio ruolo sociale o voglia di emancipazione ma, al contrario, produrre tanti acefali soldatini ben ordinati da "introdurre" nel sistema produttivo, quando, naturalmente, servono.
Altro che Scuola pubblica che dovrebbe garantire ai giovani l'uguaglianza di chances, il giusto sapere necessario alla loro collocazione sociale, e quel tanto di capacità critica necessaria a comprendere il mondo che li circonda.
Meglio sottrarre fondi alla Scuola pubblica, espellere migliaia di docenti, cancellare, di fatto, il tempo pieno, chiudere centinaia d'istituti, minacciare ed umiliare gli studenti. Meglio trasformare le Università pubbliche in tante Fondazioni private e, quindi, abbandonarle a se stesse, istituzionalizzando le disuguaglianze sociali e territoriali.
La nuova Italia del terzo millennio, quella dei ragionieri della politica, degli yes-men, dei propagatori delle paure, dei normalizzatori, dei millantatori, dei menefreghisti, dei lacchè, dell'ingiustizia sociale, si gode, oggi, il proprio trionfo.
Almeno fino a quando una nuova consapevolezza civile e politica non si affermi tra la gente, spazzando via i nuovi manipolatori delle coscienze.
30/10/2008 Antonio Gentile