SUD. DISOCCUPAZIONE E PROSPETTIVE.
di Nicola Perrini
La disoccupazione in Italia si è attestata, nel 2009, al valore dell’8% , con un aumento dell’ 1% rispetto all’anno precedente (fonte: ISTAT).
Alcune zone d’Italia hanno valori particolarmente bassi di disoccupazione e tra queste la provincia di Bolzano (2,6%), l'Emilia Romagna e la provincia di Trento (entrambe 2,9%), la Val d'Aosta (3,2%), il Veneto (3,3%), il Friuli Venezia Giulia e la Lombardia (entrambe al 3,4%), portandosi ai primi posti della classifica europea; le regioni del Sud Italia hanno valori di disoccupazione superiori alla media europea: la Sicilia (13%), la Campania, la Puglia e la Calabria (11,2%) , la Sardegna (9,9%) e la Basilicata (9,5%). Per la disoccupazione giovanile, la situazione è ben più grave: Campania e Sardegna (entrambe al 32,5%), Puglia (31,8%), Calabria (31,6%) e Basilicata (31,4%) (fonte: EUROSTAT).
Ciò significa, inequivocabilmente, che i nostri giovani migliori saranno costretti ad emigrare, portando le loro intelligenze altrove ed impoverendo ulteriormente le nostre terre.
Allora cerchiamo di scoprire alcune delle cause di questo forte divario Nord-Sud , esaminando altri dati.
La classifica di Mediobanca, ben 124 pagine pubblicate di recente, mette a confronto i fatturati 2006 e 2007 delle principali società industriali e di servizi operanti in Italia.
Bene, anzi male: di queste società e segnatamente di quelle che occupano le prime posizioni, la stragrande maggioranza ha sede al Nord e lì ha la testa e le maggiori attività; alcune imprese hanno la sede principale a Roma, avendo però spesso uffici importanti in Lombardia, mentre in rari casi le sedi sono al Sud.
Ma molte imprese, che operano nell’intero territorio nazionale, non hanno scelto autonomamente la propria sede principale. Alcune di esse, già con sede nelle regioni del Nord, sono state scelte dalla politica per operare in tutta Italia, in regime di monopolio, per decenni. Finito il periodo di monopolio, le stesse si sono trovate ad operare in posizione dominante, con indubbi vantaggi rispetto alla concorrenza.
Notiamo poi che le principali banche, le assicurazioni, gli importatori dei principali beni di consumo (automobili, Televisori, ecc.) hanno sede nel Nord Italia.
Ciò significa che le popolazioni meridionali sono costrette a versare quotidianamente una quota significativa dei propri bilanci a società che operano nel Nord, lì hanno le sedi e gli uffici principali, lì contribuiscono allo sviluppo economico. Ciò alimenta un circolo vizioso che penalizza sempre di più un’intera macroregione. Questa dovrebbe avere una sua autonomia economica che attualmente non ha.
Anche la spesa pubblica è squilibrata: nelle regioni a statuto speciale del Nord la spesa pro capite è di 8.500 € , in Lombardia di 7.300 € , nel resto delle regioni del Nord di 6.000 € , nelle regioni a statuto speciale del Sud di 6.300 € , nel resto del Sud di 5.300 € (fonte: Elaborazione di Panorama su dati Istat e Ragioneria generale dello Stato).
Secondo l’ANSA, nel 2007 lo Stato ha erogato pagamenti per circa 629 miliardi di euro: é il Nord che assorbe più risorse, quasi quanto Centro e Sud assieme. E' una cifra che comprende la spesa per attività quali l'istruzione, la difesa del territorio, le prestazioni assistenziali, la sicurezza. Lo rileva il rapporto “La spesa statale regionalizzata” , realizzato dalla Ragioneria generale dello Stato. Alle Regioni del Nord sono andate circa il 43% delle risorse; al Centro circa il 30% e al Sud solo il 27%.
Dall’esame dei dati sopra riportati emerge una realtà drammatica ed un forte squilibrio che consiglierebbe a qualsiasi governo di correre immediatamente ai ripari, risolvendo in via definitiva l’annoso problema.
Ma perché ciò accada, le popolazioni meridionali dovrebbero essere ben consapevoli della situazione, assolutamente non rassegnate ad un ruolo marginale e pronte a richiedere con forza all’intera classe politica di mettere il problema al primo posto dell’agenda.
E che cosa dovrebbe concretamente fare un governo per riequilibrare una situazione così drammaticamente squilibrata ? Potrebbe operare secondo la seguente scaletta:
1. Intervenire sulla pubblica amministrazione, affermando i valori della competenza e del merito, facendo in modo che la stessa operi effettivamente al servizio del cittadino e nell’interesse della collettività;
2. Favorire gli investimenti per attività produttive, di beni e di servizi, di aziende disposte ad avere la propria sede principale nel Sud ed a contribuire allo sviluppo del territorio;
3. Migliorare le infrastrutture, portandole a livelli europei;
4. Contrastare efficacemente la criminalità organizzata, che attualmente costituisce un enorme freno allo sviluppo economico.
Per il punto 1, si riporta l’intervento di Francesco Saverio Coppola, direttore dell’SRM (Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno): “Il problema primario del Sud Italia è la riforma e l’innovazione della Pubblica Amministrazione, senza la quale sarà quasi impossibile invertire il destino del Meridione” e quello del Prof. Vincenzo Fazio, ordinario di Politica Economica dell’Università di Palermo: ”Per fare immediati passi avanti bisogna eliminare gli ostacoli che è la Pubblica Amministrazione a porre nella gestione delle risorse e nella gestione del sostegno alle imprese”. (Entrambi gli interventi si riferiscono al dibattito sulla presentazione del XVIII Report Sud della Fondazione Curella e del Diste).
Per il punto 2, si può pensare alla fiscalità di vantaggio, fermi restando i vincoli europei sulla concorrenza, evitando di adottare le gabbie salariali o provvedimenti analoghi camuffati sotto altro nome, che di fatto condannerebbero il Sud alla definitiva marginalizzazione.
Inoltre, quando si sente parlare di chiusura di stabilimenti, segnatamente Fiat di Termini Imerese oppure di Pomigliano d’Arco, si è portati a pensare: in un periodo di affermazione del federalismo fiscale, sono ancora prevalenti gli interessi nazionali che consigliano di “non attrarre” investimenti stranieri nel campo automobilistico (mi vengono in mente interessamenti tedeschi e giapponesi a costruire stabilimenti produttivi nel nostro territorio), oppure ogni regione opera nel proprio esclusivo interesse, curando solo il proprio bilancio ?
Per il punto 3, nell’affermare l’importanza di moderne infrastrutture, si precisa che le stesse vanno pensate per il territorio, nell’interesse delle imprese e dei cittadini e non nella vecchia logica della spesa pubblica, fine solo all’alimentazione del sistema clientelare, che tanti danni ha prodotto nelle coscienze delle persone, prima che nella funzionalità dell’intero sistema.
Per il punto 4, occorre dire a chiare lettere che un adeguato sviluppo del territorio e la concreta possibilità per i nostri giovani di trovare un lavoro dignitoso, costituiscono un prerequisito essenziale, senza il quale la lotta al malaffare è difficilissima e di esito effimero.