L'ITALIA DEI POTERI ESPELLE IL SUD
In un precedente editoriale che, tra l'altro, ha riscosso un notevole interesse, parlammo di un accordo segreto esistente tra poteri forti del Nord al fine di determinare un processo di divisione del Paese, da ottenersi attraverso un indebolimento dell'unità economica, politica e sociale.
Continuando, dunque, in quest'opera d'informazione che L'Altro Sud si è posto, sui meccanismi reali che sono dietro l'emarginazione del Mezzogiorno, e per meglio comprendere gli enormi interessi che sono legati a questo processo di destrutturazione dello Stato italiano, bisogna prendere in considerazione lo sviluppo di accordi, più o meno esclusivi, esistenti tra soggetti della politica, della finanza e dell'economia.
Un esempio molto esplicito di queste dinamiche che sfuggono alla maggioranza dei cittadini si può ritrovare nella "santa alleanza" creatosi tra Comunione e Liberazione e la Lega Nord.
Partendo dal "federalismo padano", così caldeggiato dal Senatùr e gradito dal presidente della Regione Lombardia, il ciellino Formigoni, l'obiettivo comune è sfruttare lo smantellamento dello Stato italiano con il progressivo passaggio di molte sue competenze alle regioni per trasferire dal pubblico al privato lucrose attività: dalla Sanità alla Scuola, dalle autostrade all'energia, dall'immigrazione alla formazione.
Un enorme business gestito dalla potentissima Compagnia delle Opere, vicina a CL, che raggruppa circa 34000 imprese con un fatturato di 70 miliardi di euro.
L'annuncio di Formigoni versione leghista, che Lombardia e Veneto, oltre al "federalismo fiscale" intendono "agguantare" il maggior numero di competenze dallo Stato, ormai comatoso, e gestire direttamente una serie di aree strategiche - persino il nucleare –, ha acceso l'entusiasmo irrefrenabile della "camicie verdi" che ora guardano ad un compromesso politico sulla spartizione delle regioni del Nord.
Dunque, Comunione e Liberazione, Compagnia delle Opere, e Lega Nord, solidissima aggregazione di poteri religiosi, politici e finanziari, vedono in questa loro collaborazione la possibilità di ottenere vantaggiosi progetti imprenditoriali, di guidare le regioni forti del Paese come Veneto, Lombardia e Piemonte, depotenziando mortalmente lo Stato unitario.
E questa "santa alleanza", in realtà, si dimostra esplicitamente trasversale – vedi l'inchiesta "Why not".
Nel cosiddetto "Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà", luogo bipartisan dove in pratica si smantella il pubblico in favore del privato, un po’ tutti i partiti, da destra a sinistra, si ritrovano uniti.
È evidente, da quanto detto finora, che nel momento in cui le regioni del Nord, motivate da interessi forti, acquisendo autonomia, si separano sempre più dal resto d'Italia, inserendosi pienamente in quella cooperazione interregionale europea fatta di rapporti bilaterali, protocolli d'intesa, gemellaggi, la rinnovata "Questione Meridionale" rimane un problema esclusivo dei cittadini del Sud.
L'Italia unita, che si accinge nel 2010 alla retorica delle celebrazioni commemorative, rimane solo una decrepita ed inattuale enunciazione.
Mentre le regioni del Mezzogiorno raggiungono livelli drammatici di povertà, di disoccupazione, di emarginazione, di criminalità più o meno organizzata, ai limiti della rivolta sociale, l'altra Italia raccolta intorno ai propri interessi se ne va per la sua strada lasciando dietro di sé, come in un angoscioso day after, le rovine fumanti di un Paese storicamente mai unito.
E ridicole sono, poi, le dichiarazioni dei partiti politici nazionali, che dopo 150 anni, continuano a promettere interventi risolutivi in favore del Meridione, ben sapendo che non esiste nessuna volontà concreta di aiutare questa parte dell'Italia, condannata dai "fratelli italiani" alla degenerazione sociale.
Ancora più squallido, poi, è il comportamento di molti politici meridionali che, indifferenti alla condizione di agonia sociale in cui sono precipitati interi strati della nostra popolazione, in un processo irrefrenabile di periferizzazione fondato sull'accantonamento di intere generazioni, si contendono come sciacalli brandelli maleodoranti di potere.
Forse, in tutto questo disastro, la vera e più potente arma che le popolazioni del Sud possiedono è quella di prendere consapevolezza della loro condizione. È il disgusto violento che deve nascere dal sapere di essere solo parte anonima di un meccanismo inesorabile al servizio della riproduzione sociale dell'esistente gerarchia di potere. Insomma solo quando il popolo meridionale si renderà conto dell'usurpazione perpetrata ai suoi danni, allora reagirà ad un destino determinato da altri. Questo deve essere l'impegno di tutte le energie sane che si ritrovano sul territorio, iniziando dalle organizzazioni meridionaliste, politiche e culturali, unite in una grande ed epocale battaglia di verità e di coscienza.
Antonio Gentile