L'unica ricetta proposta dagli esecutivi in carica dei Paesi occidentali, per superare la crisi in atto, è, da quello che si è potuto rilevare dai pochi provvedimenti economici e finanziari finora adottati, il sostegno alle imprese ingolfate ai margini di questo pantano, la cui ampiezza e profondità neppure, ancora, nonostante gli studi dei grandi luminari e cattedratici, si è riusciti a comprendere. Le imprese, fin da quando la crisi è iniziata ed ancora, anzi, neppure era effettivamente percepita in Italia, non hanno fatto altro che lanciare continue grida di aiuto. Fin dalle prime esternazioni, a freddo, dei leader politici di destra o di sinistra che fossero, si è subito capito che, comunque, non c'era neppure tanto bisogno di sgolarsi per essere uditi ed esauditi. Uno Stato immerso in un mare di debiti, che svende il suo patrimonio immobiliare per fare cassa, taglia in modo drastico le retribuzioni degli statali ed interviene incessantemente sul sistema pensionistico nell'intento di ridurre al massimo le spese, si dimostra poi tanto sollecito e generoso, premuroso nei confronti dell'imprenditoria privata, che di questa crisi immensa, da taluni valutata come un vortice senza fondo, deve essere considerata come l'unica responsabile. Uno Stato latitante nello svolgimento delle sue funzioni istituzionali, in cui gli edifici scolastici fatiscenti cadono in testa agli alunni, gli uffici pubblici difettano delle minime risorse necessarie per il loro funzionamento, i tribunali e le forze dell'ordine si lamentano perchè sono destinatari di tagli consistenti e continui alle loro disponibilità economiche, i trasporti pubblici sono a livelli da terzo mondo, le condizioni delle reti viarie urbane, anche metropolitane, sono tali da renderle impraticabili, ci sono situazioni da vergogna nazionale, come quelle dei baraccati della città di Messina, risalenti al terremoto che rase al suolo la città ai primi anni del secolo ventesimo, ed ecco che sbocciano i miliardi come funghi per sostenere l'economia di industrie che fino ad ieri si sosteneva fossero fiorenti ed al massimo della crescita economica. Il male paventato è sempre lo stesso, licenziamenti e disoccupazione; in pratica una spada di Damocle sempre sospesa sulla testa di tutti gli italiani, una forma di ricatto vile ed ignobile che usa, i lavoratori come ostaggi per estorcere enormi risorse finanziarie allo Stato. Ma se questo Stato ha disponibilità finanziarie tanti ingenti, perchè, prima di tutto non pensa ad adempiere nei confronti del cittadino, alle sue finalità istituzionali, lasciando che il manto del fallimento avvolga la parte malata del sistema economico e produttivo del paese? Il fatto che le altre nazioni abbiano intrapreso una strada diversa, non signica che necessariamente le si debba seguire a ruota, perchè, diversamente, saremmo come un branco di pecore che va dietro al suo capobranco perchè incapaci di ragionare con la propria testa! D'altra parte, in base ai principi del liberismo economico finora in vigore, lo Stato non dovrebbe interferire nei mercati e, pertanto, così come si è disinteressato, in base a questi principi, del Welfare state, così a maggior ragione, non dovrebbe, assolutamente, da arbitro imparziale, rialzare dal tappeto il pugile suonato dell'economia. Non si può pensare, come il ministro della funzione pubblica, che a far uscire l'Italia dalla crisi economica debba essere la Pubblica Amministrazione, perchè sarebbe una semplice eresia dottrinario-amministrativa. La Pubblica Amministrazione non è un operatore economico ed è chiamata a svolgere soltanto funzioni di pubblico interesse. La sua vocazione istituzionale non è quella di salvare imprese già fallite o sull'orlo della bancarotta!
L'interferenza, eventuale, dello Stato nell'economia, era giustificata solo, ed unicamente, dall'esigenza, di tutelare la parte debole del sistema produttivo e finanziario del Paese e cioè oltre al consumatore, in modo particolare, il lavoratore ed il pensionato.
Si parla di rivoluzione verde, ma, in effetti, non si vuole rinunciare agli agi ed agli ozi ed ai vizi che hanno, finora contrassegnato il modello di sviluppo economico ed industriale che i governi di tutte le Nazioni, ma in specie di quelle più industrializzate hanno sempre perseguito ed attuato. Che le economie del mondo occidentale fossero in crisi profonda, lo si sapeva da tempo, e lo sapevano, in modo particolare, i governi ed i governanti delle Nazioni occidentali. Che il fenomeno della Lega Nord, in Italia, fosse anch'esso, profondamente generato dalla crisi del sistema industriale del Nord Italia che non ce la faceva più a sostenere l'impatto con il libero mercato globalizzato del XX° e XXI° secolo era cosa risaputa. Non era il sud a rallentare la loro crescita economica, ma era tutto il mondo occidentale che arrancava sotto al peso di una concorrenza mondiale rappresentata dalle nuove potenze dei Paese in via di sviluppo. Ad un certo punto, i Padani si sono accorti di essere solo dei nani nel mondo economico globalizzato e, come i polli di Renzo Tramaglino nei "Promessi Sposi" di A. Manzoni, nella loro miopia, non hanno saputo fare altro che beccarsi con chi stava peggio di loro, e cioè i meridionali! Ma che bella scoperta, cercare di uscire dalle sabbie mobili trascinandosi appresso tutta la carrozza! Ecco il motivo per cui il governo italiano, lamenta incessantemente miseria, ma continua a stanziare ingentissime risorse per le industrie del Nord assieme a tutto il loro apparato di banche e società mobiliari, finanziarie ed immobiliari.
Ma, dato per scontato, che lo Stato non si deve occupare dei problemi economici e finanziari delle imprese private che operano nel libero mercato, esso, però, ha il dovere categorico e sacrosanto di utilizzare le sue risorse finanziarie per realizzare le opere pubbliche assolutamente indispensabili per i cittadini, ponendo, attraverso un riammodernamento dei servizi, le basi per una trasformazione profonda della struttura economico sociale del Paese. Infatti, ciò di cui si ha urgente bisogno è proprio una inversione di tendenza nella programmazione economico-sociale. Si deve abbandonare il vecchio modello industriale per abbracciare in modo totale ed incondizionato la vocazione ad una crescita economica che sia funzionale ad una autentica rivoluzione verde, che attraverso una valorizzazione della ricerca scientifica nei settori dell'alta teconologia, espressioni pure della c.d. "eccellenza scientifica e tecnologica", miri a spingere il Paese, in una dimensione meno dipendente e legata al sistema industriale del Nord. Valorizzare in particolar modo le piccole e medie imprese nei settori dell'artigianato, in quello merceologico, alimentare , agrario, edilizio, portuale ed aeroportuale, del turismo in genere. Ci dobbiamo convincere, che alla lunga, questo sistema sarà quello che ci affrancherà, attraverso la lenta ma sicura riconversione delle masse dei lavoratori a questi nuovi modelli di sviluppo economico, dal ricatto delle industrie del Nord che, con lo spettro, paventato dei licenziamenti di massa, tengono in scacco la Nazione! Da questa trasformazione dei modelli di vita si dovrebbe in particolar modo avvantaggiare proprio il Sud, le cui potenzialità si possono sviluppare in particolar modo proprio attraverso un riammodernamento ed una crescita del settore agricolo e dell'allevamento.
Cura ed interesse particolare deve essere riservata ai trasporti pubblici, sia terrestri sia marittimi ed aerei. Il settori dell'artigianato, della moda, dell'arte in genere, deve essere curato come un inestimabile patrimonio nazionale! Ma in modo particolare, dicevo, l'Italia tutta deve riscoprire le proprie tradizioni agrarie che, con le potenzialità dei nuovi strumenti dati dalla tecnologia moderna, e attraverso il sostegno di una politica economica mirata, disinteressandosi delle industrie e delle finanze delle realtà economiche fallimentari del Nord, concentri in modo scientifico ed industriale, il suo sostegno a favore di una ripresa, in grande stile, della vocazione agricola del Paese. Dobbiamo, una volta per tutte, renderci conto che la funzione trainante dell'economia nazionale svolta dall'apparato industriale del Nord è finita per sempre, perchè il mondo è cambiato, e con esso deve cambiare il nostro mondo, che deve adeguarsi alla nuova realtà, se non vogliamo essere travolti. Il Sud non può essere usato come una vittima predestinata, per mantenere il lustro di un'economia industriale del Nord ormai controproducentee parassitaria.Tutto questo ci porterà a vivere anche in maggiore sintonia con le esigenze ecologiche del Pianeta che deve ricominciare, finalmente, a respirare. E sarà, l'unico modo, anche per salvare l'unità nazionale, che vedrà debellato l'assalto nordista.
08/02/2009 Andrea Atzori