Con il voto del Senato sulla normativa che introduce il federalismo fiscale si è compiuto un ulteriore e grave passo di conclamata indifferenza verso gli equilibri di bilancio. Nel senso che non ci si è nemmeno preoccupati di fare finta di credere in una stima, magari manipolata, del saldo finanziario fra entrate e uscite del nuovo sistema.
Perfino il ministro dell'Economia, chiamato a dire la sua in proposito, se l'è cavata definendo "imponderabili" gli oneri della legge. Valutazione che, in un paese normale, avrebbe dovuto indurre un governo responsabile a dichiarare la sua contrarietà all'approvazione di un testo siffatto.
Ciò non è avvenuto e un Senato disinvolto ha dato il suo semaforo verde e non con il solo voto favorevole della maggioranza. Fatto politico importante, l'opposizione di sinistra – che pure aveva sollevato con forza il problema degli oneri per il bilancio – si è alla fine limitata a un voto di astensione, mentre soltanto gli UDC di Casini hanno espresso un chiaro no.
Non c'è da stupirsi che i ministri leghisti presenti al misfatto – da Bossi a Calderoli passando per Maroni – abbiano manifestato una gioia incontenibile per questo primo passo verso quello che è da sempre l'obiettivo politico fondamentale del loro partito: chi se ne frega, in fondo, se i conti dello Stato si scassano ma la bandiera federalista può finalmente sventolare.
[…] Ciò che più sconcerta, comunque, è l'atteggiamento dell'opposizione di sinistra. Tutti hanno capito che i diessini puntano ad ottenere in cambio un distacco dei leghisti da Berlusconi su altri temi, in particolare sulla riforma della giustizia. Posto che si tratta di un calcolo fondato e motivi per dubitarne non mancano, il gioco vale la candela di un'ennesima spallata ai conti pubblici?
Secondo l'ultimo comma dell'articolo 81 della Costituzione ogni legge "che comporti nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte".
01/02/2009 Massimo Riva