OSSO, MASTROSSO E CARCAGNOSSO
Per comprendere il potere di aggregazione della 'ndrangheta bisogna conoscere prima i meccanismi più intimi della sua affiliazione incominciando dal giuramento.
“Giuro sul mio onore di essere fedele alla Fratellanza come la
Fratellanza è fedele con me; come si brucia questa santa e queste poche gocce del mio sangue, così
verserò tutto il mio sangue per la Fratellanza; e come non potrà tornare questa cenere nel proprio stato
e questo sangue un’altra volta nel proprio stato, così non posso rilasciare la Fratellanza”. Al di là delle
variazioni piccole o grandi che avvengono di volta in volta, la base è sostanzialmente la stessa
ovunque e costantemente nel tempo: “Il rito si apre infatti con uno scambio di battute tra il capo della
«società minore» e l’iniziando. « Di che cosa vai in cerca?» domanda il primo. «Di sangue e onore»
risponde l’aspirante. “Perché, non ne avete?” chiede ancora il capo, a cui il candidato replica: «Ce n’ho
da dare e da prendere».”
“Queste sono le prime parole che si sente rivolgere la persona che sta per essere affiliata. Essa ha
bisogno di sette affiliati che garantiscano per lui, e, in particolare, uno di questi si fa garante nel bene e
nel male, e lo presenta davanti al circolo formato, un gruppo composto da sei affiliati, compreso il
capobastone. Ad aprire la riunione è quest’ultimo. La lingua ufficiale è il dialetto calabrese. Prima del
saluto, tutti gli affiliati, seduti a semicerchio, devono stare a braccia conserte e non scioglierle per
nessun motivo. […] Nel nome dell’Arcangelo Gabriele e di Sant’Elisabetta, circolo di società è formato.
Ciò che si dice in questo circolo a forma di ferro di cavallo, qua si dice e qua rimane, chi parla fuori da
questo luogo è dichiarato tragediatore a suo carico e a discarico di questa società. Siamo qui riuniti per
affiliare un contrasto onorato che si è distinto per virtù e umiltà, per lui si fa garante … Se qualcuno
dei presenti ha delle obiezioni le faccia adesso oppure taccia per sempre. Introducete il contrasto
onorato.”
Inizia quindi il dialogo di cui sopra è riportato l’incipit, e che prosegue così:
“Capobastone: «Sangue per chi?»
Nuovo affiliato: «Per gli infami».
C.: «Onore per chi?»
N.: «Per l’Onorata Società»
C.: «Siete a conoscenza delle nostre regole?»
N.: «Sono a conoscenza»
C.: «Prima della famiglia, dei genitori, delle sorelle, dei fratelli, viene l’interesse e l’onore della società.
Essa da questo momento è la vostra famiglia e se commetterete infamità, sarete punito con la morte.
Come voi sarete fedele alla società, così la società sarà fedele con voi e vi assisterà nel bisogno. Questo
giuramento può essere infranto solo con la morte. Siete disposto a questo? Lo giurate?».
Quest’ultimo viene quindi sottoposto ad alcune prove di coraggio: in una di queste, secondo il
collaborante Marcenò, il novizio deve appoggiare il palmo della propria mano sulla punta di un
coltello impugnato dal capo. Mentre gli affiliati preparano una bacinella per dargli ad intendere che
scorrerà del sangue, un altro «’ndranghetista» fa finta di colpire la mano dell’iniziando, per valutarne il coraggio.
Superate le prove di coraggio, la «società minore» tiene tre votazioni, che scandiscono l’ammissione
graduale del candidato al gruppo. Il «capo giovane» invita i consociati a votare con le seguenti parole:
“«Proprio in questo buon pomeriggio col permesso del camorrista che abbiamo in testa, capo giovani
e puntaioli, alla destra dei picciotti a mano girando io passo alla prima votazione sul conto di colui che
viene nominato e se prima d’ora lo conoscevo per un giovane qualsiasi , da questo momento, lo
riconosco per un giovane d’onore appartenente e non appartenente a questa onorata società».
Il secondo voto viene poi introdotto dalla seguente formula:
«Proprio in questo buon pomeriggio col permesso del camorrista che abbiamo in testa, capo giovani e
puntaioli, alla destra dei picciotti a mano girando io passo alla seconda votazione sul conto di colui
che viene nominato e se prima d’ora lo conoscevo per un giovane d’onore da questo momento, lo riconosco per un picciotto nominato a voce, appartenente e non appartenente a questa onorata società».
Infine, con la terza votazione si celebra l’ingresso del nuovo membro nella cosca:
«Col permesso del camorrista che abbiamo in testa, capo giovani e puntaioli, alla destra dei picciotti a
mano girando io passo alla terza votazione. Se prima d’ora lo conoscevo per un picciotto fatto
nominato a voce da questo momento, lo riconosco per mio fedele compagno. Mangerò con lui,
dividerò con lui giusto ed ingiusto, difenderò carne , pelle, sangue e ossa fino alla ultima goccia di
sangue. Se fallisce e strafallisce e porta raggiri e macchie d’onore sono a carico suo ed a discarico della
società»”.
Il neofita viene punto ad un dito, e qualche goccia del suo sangue viene fatta cadere su
un’immaginetta sacra. Il santino insanguinato viene fatto bruciale mentre l’iniziato lo tiene tra le mani
e in questa posa pronuncia un voto di fedeltà e obbedienza al gruppo:
“Giuro davanti alla società organizzata e fedelizzata, rappresentata dal nostro onorato e saggio capo e
da tutti i soci, di adempiere tutti i doveri che mi spettano e che mi vengono imposti, se necessario
anche con il mio sangue”.
Questo rituale è leggermente più complesso di quello mafioso, ma condivide le fasi principali di esso:
la presentazione da parte di un altro membro, la rivelazione delle regole del gruppo, e il giuramento
suggellato dal sangue. Queste fasi corrispondono alle caratteristiche con cui l’antropologo Van
Gennep identificava i cosiddetti “riti di passaggio”: la rappresentazione simbolica di una morte e di
una resurrezione in un nuovo ambito sociale, dove si aprono per l’iniziato visioni del mondo e del suo
ruolo nella società nuove, e basate su nuove regole.
Riti di passaggio -attraverso i quali un individuo passa da un settore, o da un ruolo ad un altro
all’interno di una società- suddivisi da Van Gennep in: “separazione”, con la quale ci si distacca dallo
status precedente, “transizione” (o “liminalità”), per entrare poi, con un altro passaggio, nello status
successivo, tramite la “incorporazione”. In pratica il “contrasto onorato” deve abbandonare ogni
precedente vincolo, familiare o amicale, per assumere il suo nuovo ruolo di “uomo d’onore”,
seguendo le regole e i principi dell’organizzazione, ma soprattutto legandosi ad essa in modo
inscindibile e totalizzante.
Un’altra cartina di tornasole dell'importanza di certi elementi simbolici nel conferire unitarietà alla
‘ndrangheta in quanto tale, viene dall'elezione al luogo di incontro annuale delle tante famiglie di una
zona legata alla religiosità locale, qual è il santuario della Madonna di Polsi.
Il Santuario della Madonna di Polsi è ancora oggi un luogo di difficile accesso, nascosto e protetto da
stradine impervie che per decine di chilometri si snodano fra le montagne della zona più interna
dell’Aspromonte. E’ uno dei luoghi, al di sotto della Sila, più lontani da entrambe le coste e nello
stesso tempo da strade di una certa rilevanza (si trova quasi nel centro geometrico del pentagono
formato dalla statale jonica a sud-est, dall’ autostrada a nord-ovest, e dalla superstrada Jonio-Tirreno,
che collega Rosarno e Siderno)…insomma una perfetta meta di pellegrinaggio, che obbliga anche il
turista più attrezzato (tanto quanto il devoto più motivato) ad una ascesa lunga e sofferta. Così viene chiamato chi è considerato in qualche modo un collaboratore esterno della ‘ndrangheta, non obbligatoriamente un aspirante ‘ndranghetista.
Esso si trova all’interno del territorio del comune di San Luca, in cui “secondo l’ex ’ndranghetista
Francesco Fonti «la quasi totalità degli abitanti di sesso maschile appartiene alla ‘Ndrangheta»”.
Fonti sostiene anche che la presenza e l’elezione del Santuario a luogo di riunione degli affiliati, fin dai
tempi remoti, fu concausa insieme a questa affiliazione di massa, nell’assegnare a questo paesino
aspromontano la centralità geografica e spirituale dell’intero fenomeno ‘ndrangheta (anziché essere la
seconda effetto della prima).
San Luca fu, come si sa, il paese natale di Corrado Alvaro, nelle cui strade egli imparò “a distinguere i
capi bastone e i maestri di sgarro, dagli apprezzamenti ironici che egli [suo padre] tributava ai
giovanotti che balzavano a una improvvisa considerazione…”
San Luca stesso è un paese arroccato fra le montagne dell'Aspromonte e mal collegato, come tutti i
paesi interni della jonica reggina (per i quali, per esempio, nei trasporti su gomma dal Nord Italia,
vigono le stesse tariffe valide per le isole!)“ La preminenza dell'associazione di San Luca è tale che
ogni nuovo gruppo – o «locale» per usare l'espressione impiegata dagli «’ndranghetisti» - deve
ottenere la sua autorizzazione per operare. Secondo diversi collaboratori, ciascuna famiglia ancora
oggi versa una piccola percentuale degli introiti illeciti al «principale» di San Luca come
riconoscimento di atavica supremazia ed in quanto rappresenta nel gergo la «mamma» di tutti gli
affiliati”.
Si avrà modo di ricordare più specificamente un’altra occasione, oltre a quella del 1940, in cui assurse
alla notorietà una delle riunioni che da tempo imprecisato si tenevano nelle zone limitrofe al
santuario, per stabilire strategie comuni, regolare i conti, ma soprattutto rinsaldare i rapporti fra le
varie ‘ndrine.
"Nella ‘Ndrangheta, però, non sembra sia esistita una struttura unica, una famiglia con tale autorità da
comandare o da esercitare un dominio su tutte le altre. Non esiste una verticalizzazione nella mafia
calabrese. […] E ciò non è dipeso dal fatto che, contrariamente alla mafia siciliana, è mancato alla
‘ndrangheta un capo in grado di unificare le diverse ‘ndrine, ma per ragioni storiche inerenti lo
sviluppo della Calabria che ha avuto uno svolgimento del tutto particolare rispetto alla Sicilia.
In Calabria non c'è mai stata una unità regionale, anzi è sempre esistita una regione frammentata e
divisa. Per una lunghissima fase storica, le difficoltà di collegamento renderanno ardui e difficili i
rapporti tra un comune e l'altro di una stessa zona. Ancora oggi si potrebbe parlare di Calabrie e non
di Calabria, tanto forte è il peso dei particolarismi e delle divisioni del passato.” Le stesse divisioni
amministrative del regno borbonico parlavano di Calabria Citra e Calabria Ultra, e l'isolamento di
molte zone interne, le cui misere condizioni economiche, culturali e sociali furono oggetto di
compatimento ma più spesso di dileggio da parte degli autori di tanti “diari di viaggio”
sei\settecenteschi, era legato alla “effettiva primitività delle strutture della regione, per secoli rimasta
ai margini della vita del regno e priva di contatti con le altre province, a sua volta somma di infiniti
atomizzati isolamenti interni”.
Certamente la conoscenza del territorio, e la capacità di muoversi fra zone impervie e sentieri così
come fra fiere e mercati in cui abbondavano occasioni di fare affari, costituì da sempre un vantaggio
degli ‘ndranghetisti rispetto alle forze dell’ordine, e li caratterizzò, soprattutto all’inizio del secolo, per
una maggiore mobilità rispetto al resto della popolazione. Ma l’importante è sempre stato il
radicamento di ogni “famiglia” su uno specifico territorio.
"Le varie famiglie mafiose non appaiono interessate all'espansione territoriale, ma invece sono sempre
attente al controllo di tutte le attività ricadenti sul territorio di loro pertinenza. Più che ad espandersi
esse pensano a consolidare e a rendere stabile il loro dominio e il loro potere. Per questo le relazioni
dai bambini che giocano sulla strada, (che evidentemente hanno introiettato
rapidamente sentimenti di ostilità e sospetto verso i forestieri)…come accadde, non più di 6-7 anni fa ad alcuni miei amici
cicloamatori, arrivati lì, per di più, dopo una settantina di chilometri di fatica sui pedali.
fra diverse ‘ndrine sono relazioni di scambio, di contatto, di natura economica, di aiuto reciproco, a volte di gestione comune di varie attività."
www.laltrosud.it