IL TERREMOTO DIMENTICATO
"Ho ancora nella mente il terribile boato di quel giorno e che in poco tempo cancellò la mia terra e i miei cari. Ricordo la polvere, le urla, il dolore, le bare, tante e tante bare, per i nostri morti straziati. Ricordo come oggi l'inferno di decenni di sofferenza della nostra gente rinchiusa in quegli orrendi contenitori di metallo con pochissima luce. Il tutto in un inferno di desolazione e di indifferenza contornati da ridicole figure di politicanti nazionali che venivano a prometterci di tutto. Miseri personaggi che speculavano sulla nostra tragedia. Ricordo le mie donne vestite di nero, imbiancate dalla polvere aggirarsi senza più lacrime tra montagne di rovine in cerca di un brandello della loro storia. Ricordo l'odore acre dei cadaveri e il pianto irrefrenabile dei bambini. Ricordo la fila dei camion portare via come tanti deportati i nostri vecchi e le nostre povere cose. Lì ho capito di non essere mai stato considerato italiano e oggi dopo 44 anni di oblio nazionale e di indifferenza totale, ho seppellito la bandiera italiana che mi era stata regalata da un militare e l'ho posta sotto i resti delle macerie che ancora sussistono: macerie tra le macerie."
Rocco Pace
C’è un terremoto che dura da 44 anni, ma di cui si accorgono solo in pochi. Un sisma che attraversa quotidianamente un remoto spicchio di Sicilia, radendo al suolo speranze e aspettative dei suoi abitanti. Un territorio martoriato dal tempo e dalla dimenticanza, in cui ogni rudere è una ferita aperta e ancora sanguinante. In questi giorni drammatici per l’Emilia, dove la terra non vuol smettere di tremare, il nostro pensiero non può non rivolgersi al Belice, come un triste e beffardo contrappunto.
IL TERREMOTO DIMENTICATO – Mentre sugli schermi delle televisioni, scorrono implacabili le immagini di lutto dei “fratelli” emiliani, i servizi dei tg raccontano puntuali i terremoti che hanno messo in ginocchio l’Italia nell’ultimo secolo: Messina e Reggio Calabria, Friuli, Irpinia, Umbria e Marche, Abruzzo. Ma il Belice no. Scompare dalla memoria, come un conoscente sgradito di cui non si ricorda il nome. Eppure quei 370 morti un nome ce l’avevano. Era la notte tra il 14 e 15 gennaio del 1968, quando una scossa di 6.4 Richter cancellò per sempre Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago e causò danni enormi ad un’altra dozzina di comuni tra le province di Trapani e Agrigento. I feriti furono circa mille e i senzatetto settantamila.
DOVE SONO I SOLDI? – Oggi la Valle del Belice aspetta ancora dallo Stato 150 milioni di euro da destinare alla ricostruzione dell’edilizia pubblica e 300 milioni per quella privata. Molte imprese edili locali, con relativi indotti, sono sull’orlo del fallimento: circa 2.500 posti di lavoro rischiano di essere risucchiati dalle “macerie” della ricostruzione fantasma. Il beffardo paradosso è che, in questo contesto di ritardi e lungaggini burocratiche, molti cittadini, sicuri della legge che garantisce i fondi, dopo aver anticipato somme che non sono arrivate, hanno fatto causa ai comuni, costringendoli a pagare con debiti fuori bilancio. La guerra tra poveri è servita.
L’IMPEGNO DELLA REGIONE – Neanche troppo tempo fa, prima a settembre 2011, poi in occasione dello scorso anniversario del terremoto belicino, la Regione si era detta disponibile ad anticipare 100 milioni di euro relativi a progetti di ricostruzione già esecutivi, attingendo dai Fas, “fermo restando – aveva precisato l’assessore regionale per l’Economia, Gaetano Armao – che tali risorse avrebbero dovuto essere reintegrate ed erano da ritenersi aggiuntive rispetto a quelle oggetto delle revisioni del relativo programma regionale”.
CATANIA: “SOLO CHIACCHIERE” – Ma nonostante i buoni propositi, la macchina istituzionale stenta a partire. “Sono rimaste soltanto chiacchiere, - dice Nicola Catania, vicesindaco di Partanna e coordinatore dei 21 sindaci della Valle del Belice – dichiarazioni avventate che non hanno ancora ricevuto una richiesta formale al ministero della Coesione Territoriale, il tavolo bilaterale tra Regione e Stato non è ancora stato richiesto. Per questo, noi ci siamo, per così dire, autoconvocati dal presidente della Regione, Raffaele Lombardo, con cui dovremmo incontrarci nei prossimi giorni”.
IPOTESI FAS – Catania, inoltre, aggiunge che, già nel 2010, il Coordinamento dei comuni del Belice, incaricato dal governatore, aveva proposto con un disegno di legge di utilizzare parte dei Fas per la ricostruzione. “Il ddl, apprezzato dalla giunta regionale, – precisa Catania – si trova adesso all’ordine del giorno, presso la XIII Commissione del Senato. Credevamo che il parere favorevole della giunta rappresentasse una condivisione, ma fino ad ora non è bastato”.
SISMA DAI MILLE VOLTI – Tutto il resto è desolante abbandono. A poco è servito il documento conclusivo della Commissione Bicamerale sul Belice del 1996 in cui si evidenzia “la certezza che le popolazioni interessate dal sisma del 1968 sono state vittima di insipienza e malgoverno” ritenendo che “l’intero Paese ha, nei confronti del Belice, un debito morale che deve essere colmato al più presto”. Né lo studio comparativo condotto dalla stessa Commissione da cui si evince che, a somme rivalutate, il Belice ha avuto circa 12.000 miliardi di lire ed il Friuli più o meno il triplo: 29.000 miliardi. Basta fare un giro in quel territorio, ancora martoriato, per avere la straniante consapevolezza di trovarsi faccia a faccia con un terremoto infinito dai mille volti: case immacolate, ma senza acqua, luce e gas; strade non asfaltate e ancora da bonificare; vecchi ruderi da abbattere, transennati da chissà quanto tempo. C’è poi il popolo del Belice, che ha ancora nelle orecchie l’agghiacciante boato di quella notte, negli occhi l’inferno delle macerie e vive con la speranza che, un giorno, la terra smetterà di tremare, una volta e per sempre.
Giulio Gialombardo
Per non dimenticare
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