I PRIVILEGI SONO DURI A MORIRE
di Giovanni Di Lecce
Certo in questa Italia imbalsamata su privilegi di caste e cricche di ogni tipo, il parere dei semplici cittadini conta meno di un rutto o una pernacchia di Bossi (due dei tanti suoni mielati di cui può far sfoggio questo maestro di assolo gutturale), e quindi quasi sempre la loro voce muore negli spazi vuoti che l'arroganza del potere gli lascia attorno. Ma noi, che non abbiamo mai praticato la consegna del silenzio, come quegli asini recalcitranti ai comandi del padrone, continueremo a gridare la nostra rabbia, nella speranza di poter rompere definitivamente, per così dire, la barriera del suono.
Forse non tutti sanno che i mali che oggi ci affliggono sono il retaggio di un degrado civile che affonda le sue radici nell'Italia uscita dal Risorgimento. Abuso, privilegio, corruzione sono stati i vizi capitali con cui si costruì l'unità d'Italia. Il primo Parlamento unitario fu solo un luogo in cui si legittimavano, attraverso l'emanazione di leggi ad hoc, i comportamenti criminali degli stessi parlamentari e dei loro bravacci.
Non si pensi, se mai qualcuno lo pensasse, che le votazioni fossero una cosa seria, dal momento che lo Statuto Albertino prevedeva che a votare fossero solo gli uomini che avessero un certo reddito e una certa istruzione di base. Praticamente l'elettorato attivo non superava il 2% della popolazione italiana. Se poi si considera che di questo 2%, solo la metà si recava a votare, si può ben dire che per essere eletti bastavano appena 50/60 voti di preferenza.
L'Italia ha conosciuto il suffragio universale solo dopo la seconda guerra mondiale! Che democrazia potrà mai esserci in uno Stato che impedisce ai propri cittadini di esercitare uno dei diritti fondamentali, quale è quello di voto? Un popolo abituato al sopruso e all'abuso, e che vive in uno Stato di diritto come fosse un suddito, è difficile poi che si ribelli per farsi riconoscere certi diritti.
E' assurdo che si continui a scaricare il peso della crisi sempre sulle spalle dei ceti meno abbienti, quando ormai è del tutto evidente che così si peggiora la situazione economica dell'intero Paese, dal momento che si viene a limitare la loro propensione al consumo e al risparmio, con la la grave conseguenza quindi di attivare il processo di un circolo vizioso che porta dritto dritto alla stagnazione. E tutto questo sol perché, come sempre succede in Italia, si vogliono favorire proprio quelle categorie sociali in cui allignano tutti gli elementi più perniciosi per la nostra Nazione, cioè tutti quegli elementi che in forza del loro status sociale e politico controllano le leve del potere statale e degli apparati che creano consenso elettorale.
E' semplicemente provocatorio, o quantomeno insensato, quindi l'articolo di Federico Mello su “Il Fatto Quotidiano” volto a dimostrare (?!!!) che le misure prese dalla Fornero in materia pensionistica sono necessarie oltreché giuste. Forse possiamo accettare che siano necessarie, ma non che siano state pensate tenendo conto di un principio di giustizia sociale.
Come si fa ad esempio ad accettare che artigiani, commercianti e coltivatori diretti che prima del '95 avevano maturato diciotto anni di contribuzione con il sistema retributivo, vadano ora in pensione con quel sistema vantaggioso nonostante abbiano versato solo il 20% del loro reddito imponibile, un reddito, tra l'altro, quasi sempre non rispondente al vero? Né si può pensare che sia giusto lasciare che ci sia gente -vecchi liberi professionisti e boiardi di Stato, giornalisti compresi- che continui a percepire diverse pensioni, e delle più alte, quando sappiamo che i contributi che effettivamente ha versato sono appena sufficienti per l'erogazione di una sola pensione! E non si dica, come fa Porro, che la loro incidenza sulla spesa pensionistica complessiva sia di poco conto, perchè i percettori di queste pensioni sono diverse migliaia. Si consideri poi che in giro ci sono ancora migliaia di vedove che percepiscono pensioni di reversibilità altissime!
Sentire Fini dire che non è giusto che si tocchino i diritti quesiti è semplicemente scandaloso. Ma a Fini non bisogna far caso, tanto ci ha abituato ad ogni tipo di falsità. Che diritto quesito è mai quello del politico che oggi a sessant'anni percepisce tre o quattro pensioni: una per essere stato consigliere regionale, una per essere stato parlamentare, una come professore universitario, e addirittura un'altra come giornalista! A me più che diritti questi sembrano assurdi privilegi di una casta che crede di vivere in un favoloso El Dorado.
L'Altro Sud - Puglia