Stiamo assistendo, in questi giorni, ad un inasprimendo delle sempre aperte ostilità tra l’esecutivo in carica ed il potere giurisdizionale sulla questione giustizia. E’ già grave il fatto che, in una nazione che si reputa civile, il dibattito politico si impaludi sul diverso significato che al concetto di giustizia debba essere attribuito: esiste, al riguardo, profonda diversità di vedute tra le due parti contrapposte e contendenti. L’una che rivendica il suo diritto alla libertà di svolgere le sue funzioni senza condizionamenti da parte dell’esecutivo e l’altro che sostiene essere questa attività giurisdizionale un intralcio al pieno esercizio delle sue funzioni. Il problema è di quelli fondamentali su cui uno Stato si gioca il proprio destino. L’indipendenza della magistratura è un requisito imprenscindibile di ogni sistema democratico in quanto, da sempre, ogni sistema autoritario e dittatoriale, per sua stessa natura, deve poter soffocare ogni opposizione all’interno del suo territorio, usando la magistratura come strumento diretto alla eliminazione degli avversari politici. Per potersi imporre, il regime dittatoriale, ha bisogno di asservire il potere giurisdizionale. Per questo motivo, la nostra Costituzione repubblicana ha previsto, con l’art. 101 che: la giustizia è amministrata in nome del popolo, i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Pertanto, questo principio è da considerare un principio cardine della nostra Costituzione, in quanto ha la funzione di garantire la separazione dei poteri che fu uno dei portati, forse il più importante e fondamentale della rivoluzione francese. L’imparzialità della magistratura è un principio a cui nessun ordinamento giuridico di uno Stato democratico può assolutamente rinunciare pena la caduta nella tirannide. La concentrazione dei poteri è espressione di assolutismo perché implica il controllo di un potere, quello esecutivo, sugli altri. Tutto questo è nell’ordine stesso delle cose. Un governo che voglia imbavagliare la magistratura, togliendole autonomia ed indipendenza, al fine di evitare che questa possa influire sul suo operato e, pertanto, impedire ogni sindacato giurisdizionale a carico dei suoi membri ed al fine di colpire, invece, solo gli esponenti politici dell’opposizione, deve introdurre una separazione delle carriere tra magistratura requirente, i pubblici ministeri, e magistratura giudicante. In questo modo il pubblico ministero verrebbe attratto nell’orbita del ministero della giustizia e finirebbe il principio per cui la legge sarebbe uguale per tutti. Per questo dico che il destino dell’Italia si sta giocando su questi principi che sono fondamentali per ogni Stato democratico.
La vicenda recentissima del conflitto tra le due procure di Salerno e Catanzaro, è solo l’espressione di quanto la partita sia non solo importante ma decisiva. Infatti, si sa che all’interno stesso del potere giudiziario esiste una grandissima conflittualità, in quanto taluni vedono la dipendenza dall’esecutivo come un rafforzamento del potere inquisitorio della magistratura e del loro proprio prestigio professionale. Ed, in ogni caso, il fenomeno della lotta alla corruzione politica era solo opera di pochi magistrati e di qualche procura a cui la generalità dei magistrati sono rimasti estranei. Le manifestazioni di scandalo per quanto accaduto è cosa del tutto meschina. Tutti sanno benissimo che i giochi si stanno decidendo proprio in questo modo. Che le indagini in oggetto abbiano interessato esponenti politici di maggioranza od opposizione poco importa. E’ importante, invece, che il meccanismo a base del funzionamento delle regole non venga intaccato. Il soggetto che dimostra maggiore interesse alla c.d. riforma della giustizia è senz’altro l’esecutivo, che minaccia, anzi, di voler procedere anche senza l’intesa con l’opposizione alle necessarie modifiche del dettato costituzionale. Ad ogni buon conto, è oltremodo deludente la constatazione di come si possa scatenare una furibonda campagna di accuse di corruzione contro il pubblico impiego, cioè la struttura stessa su cui si regge lo Stato, che in effetti si identifica nella pubblica amministrazione, attirando una generalità di consensi nell’opinione pubblica, che si è arrogata il diritto di esprimere giudizi di condanna che solo il potere giurisdizionale in un paese democratico è autorizzato ad emettere, ed invece consentire proprio a coloro che dalla magistratura sono stati sospettati ed incriminati per reati gravissimi, (che non sono le assenze per malattia del pubblici dipendenti, tanto per intenderci), di potere, addirittura , cancellare i principi fondamentali su cui si fonda il bilanciamento dei poteri dello Stato, per poterla non solo fare franca, ma addirittura sopprimere le libertà costituzionale, infilandosi diritti nel tunnel della morte. La storia che ancora si interroga sulla responsabilità del popolo tedesco intero per i crimini della dittatura nazista, dovrebbe, in questo, trovare molto materiale su cui riflettere!
In ogni altro paese democratico, non da repubblica latino americana o cme si dice c.d. delle banane, il semplice sospetto di corruzione, induce il politico coinvolto a rassegnare le dmissioni, solo in Italia succede che costui venga premiato con un consenso elettorale tanto elevato che lo autorizza a sospendere le guarentigie costituzionali! Penso che non ci sia bisogno di commenti. All’interno della compagine governativa si è, intanto, aperto un dissidio, al riguardo, ma solo perché, il ministro Bossi, reclama la priorità della riforma sul federalismo fiscale. Ma il premier rassicura, le due cose si possono fare assieme. Insomma, non esiste alcuna speranza di potere evitare alcuno dei terribili mali che ci attendono!
14/12/2008 Andrea Atzori