MARCIO IN PADANIA
Passata la festa, gabbato lo santo, come si suol dire, ritorniamo ad occuparci dell’impietoso stato dell’arte della nostra Italietta allo sbaraglio. I magistrati, però, non hanno fatto festa. Hanno molta fretta. Li capisco, anch’io ce l’avrei al posto loro: contano sul fattore sorpresa, tremando all’idea del coperchio di Stato che da un momento all’altro può essere loro imposto, dato che –ora dopo ora- quella che sembrava una pozza di fango marcio si sta rivelando sempre di più, invece, una gigantesca marea di olio combustibile infetto, perché sta affondando una grossa petroliera, peraltro anche clandestina.
Anche in campo giudiziario vale il principio psicologico del “battere il ferro finchè è caldo”: I magistrati lo sanno che l’essere umano è fragile, debole, pauroso. E così le procure non sono più tre, bensì cinque, e si vocifera in giro che entro quindici giorni diventerebbero una decina. Proprio mentre i cattolici celebravano il rito sacro della Via crucis, venerdì scorso, anche il procuratore della repubblica di Genova ha reso noto l’apertura dell’inchiesta relativa ai soldi della Lega Nord chiedendo l’unificazione della inchiesta a quella della procura di Reggio Calabria. Inchiesta, questa, che va a toccare i gangli di collusione tra Lega Nord, Comunione e Liberazione, PD e ‘ndrangheta, avendo trovato ben più di una società dove Davide Boni (già inquisito) presidente del consiglio regionale della Lombardia lavorava insieme a Fillipo Penati, suo vice (già inquisito) facendo insieme baldoria tra una tangente e l’altra, tra una manciata di soldi delle nostre tasse e l’altra.
Ieri, giorno di pasqua, al pomeriggio è entrata nell’agone anche la procura di Padova, per gli stessi identici motivi.
Sta scattando, infatti, quello che io definisco “il fattore umano”.
Per ogni 99 mascalzoni italioti che vivono e mantengono le loro famiglie, amici e servi al grido di “lo fanno tutti” (e quindi mi adeguo passivamente da bravo non pensante corrotto) c’è sempre la centesima persona che dice “no, io queste cose non le faccio”, di solito per due motivi di cui soltanto uno è nobile. Lo fanno o perché (come nel caso dell’alto dirigente di Finmeccanica) li ripugna eticamente perché sono funzionari per bene, oppure per la più antica e banale ragione del mondo, meno nobile, ma non per questo efficace: la paura di. finire nei guai essendo piccoli. Ma a noi va bene così: l’importante è che confessino.
E che venga applicato pragmaticamente il principio di Paolo Borsellino “chi sa, parli”.
Gongola il gruppo Rizzoli che si è aggiudicato l’esclusiva di una testimonianza arrivata proprio il giorno di Pasqua e così, oggi, che è pasquetta, le rotative del gruppo editoriale rcs-corriere della sera lavorano a pieno regime perché domani, in edicola, il settimanale “Oggi” regala la pubblicazione per intero in esclusiva della testimonianza di una persona assolutamente modesta, anonima: uno degli autisti della Lega.
Si chiama Alessandro Marmello, e di professione fa la guardia del corpo di Renzo Bossi, ed è anche l’autista di una auto blu che porta a spasso con i nostri soldi le sue amichette. Come Belsito, il tesoriere. Ma a differenza del suo collega che ha scalato i vertici, lui si è messo paura e si è presentato volontariamente dai magistrati “perché non voglio essere coinvolto e ho paura”.
"Non ce la faccio piu', non voglio continuare a passare soldi al figlio di Umberto Bossi in questo modo: e' denaro contante che ritiro dalle casse della Lega a mio nome, sotto la mia responsabilita'. Lui incassa e non fa una piega, se lo mette in tasca come fosse la cosa piu' naturale del mondo. Adesso basta, sono una persona onesta, a questo gioco non ci voglio piu' stare".
Così ha dichiarato ai magistrati (e così pubblica il settimanale Oggi).
Dice il settimanale: Marmello, che ha documentato le sue affermazioni anche con una serie di video, racconta la sua versione dei fatti in una lunga intervista. Ha lavorato come autista di Renzo Bossi per tre mesi nel 2009. "Il contratto a progetto era emesso dal Gruppo Lega Nord Padania Camera dei deputati e intestato all'allora capogruppo Roberto Cota, che oggi e' il governatore del Piemonte". All'epoca Renzo Bossi non aveva cariche ufficiali.
Dall'aprile 2011 Marmello e' stato assunto dalla Lega, racconta, "con un contratto a tempo indeterminato emesso direttamente dalla Lega Nord Padania. E firmato dal tesoriere Belsito. Da quel momento avrei avuto disponibilita' di denaro contante per le spese relative al mio servizio. Ogni volta che avevo bisogno di soldi per fare benzina, oppure pagare eventuali spese per la manutenzione dell'auto, ma anche per pagare il ristorante quando ci trovavamo, spesso, fuori Milano, potevo andare direttamente all'ufficio cassa alla sede della Lega, in via Bellerio". "Firmare un documento che non prevedeva giustificazioni particolari - continua Marmello - praticamente un foglio bianco, e ritirare ogni volta un massimo di 1.000 euro. Anche piu' volte al mese. Il fatto e' che questo denaro mi veniva dato come corrispettivo degli scontrini e delle ricevute che presentavo. E tra queste ricevute molte mi erano state date da Renzo per coprire sue spese personali. Io andavo lì e prendevo i soldi, anche venti volte al mese".
Spiega ancora Marmello: "Poteva essere la farmacia, ristoranti, la benzina per la sua auto, spese varie, cose cosi'. Insomma, quando avevo finito la scorta di denaro andavo in cassa, firmavo e ritiravo. Mi e' capitato anche di dover fare il pieno di benzina pure per la sua auto privata, accompagnare a suoi amici, fare acquisti. Il pieno in quei casi dovevo farlo con i soldi che prelevavo in cassa per le spese della vettura di servizio. La situazione stava diventando preoccupante e ho cominciato a chiedermi se davvero potevo usare il denaro della Lega per le spese personali di Renzo Bossi. L'ho fatto presente a Belsito, spiegandogli che avevo pensato addirittura di dimettermi. Lui non mi ha dato nessuna spiegazione chiara. Io stavo prelevando soldi che ufficialmente erano destinati alle spese per l'auto di servizio ed eventualmente per le mie esigenze di autista e invece mi trovavo a passarne una parte a lui, per fare fronte anche ai suoi bisogni personali". "Erano spese testimoniate da scontrini che spesso non riguardavano il mio lavoro - racconta ancora Marmello nell'intervista a 'Oggi' - Non so se lui avesse diritto a quei soldi: tanti o pochi che fossero, perche' dovevo ritirarli io? Ho cominciato ad avere paura di poter essere coinvolto in conti e in faccende che non mi riguardavano, addirittura di sperpero di denaro pubblico, dal momento che i soldi che prelevavo erano quelli che ritengo fossero ufficialmente destinati al partito per fare politica. Soldi pubblici. Certamente, almeno credo, non spendibili per accontentare le spese personali di Renzo Bossi".
Mentre dalla Lega Nord arrivano soltanto proclami demagogici e dichiarazioni di volontà di pulizia più retoriche che altro, la magistratura incalza e così i dirigenti della Lega Nord si trovano nella più obbrobriosa delle situazioni: tentare di metterci una pezza e quando sanno che qualcuno ha già parlato, allora tentano di alzare il dito.
Ma soltanto dopo. Un gioco da furbetti, che aumenta sconcerto a indignazione.
E così, oggi, lunedì dell’angelo, Renzo Bossi, venuto a conoscenza della confessione della sua guardia del corpo, annuncia che si dimette dal consiglio della Lombardia.
Che dolore, per chi nutre passione civile e codice etico.
Che autentico dolore nazionale essere testimoni, nero su bianco sulla carta bollata con tanto di firma di ufficiali delle forze dell’ordine e dei magistrati, di tutto ciò che sapevamo già, che sapevano tutti. E che tutti coprivano, vantandosene addirittura. Fingendo, poi, nella migliore tradizione italiota, di essere all’oscuro.
Trema Comunione e Liberazione e trema il PD, loro soci in affari in tutta la regione Lombardia e in tutta l’Emilia-Romagna, dove hanno provveduto a disossare la spina dorsale dell’industria nazionale avvilendone la produttività e determinando la grave crisi economica nazionale. Qui non c’entra niente la crisi planetaria. Qui, non c’entra nulla Goldman Sachs che probabilmente non sa neppure che cosa siano la Lega Nord e il PD. Qui c’entra soltanto l’orgoglio nazionale e l’opportunità –in questo momento unica- di risvegliarsi ad un rinnovato senso civico con un unico, piccolo ma deciso obiettivo momentaneo parziale: far piazza pulita di tutta questa gente, qualunque sia la loro appartenenza. Che poi siano membri segreti della ‘ndrangheta, funzionari della segreteria della Lega Nord, del PD, del PDL, dell’Udc, dell’Api, che differenza fa? E’ la loro complicità criminale ad aver messo in ginocchio il paese, lo sanno anche i bambini.
Già da molto tempo i più solidi, spaesati e liberi tra i giornalisti italiani avevano spiegato, scritto e denunciato lo stato delle cose. Ma non accadeva mai nulla.
Sono i vantaggi della crisi. Un’occasione da non perdere.
Non sono così ingenuo da pensare che gli stessi marpioni (oggi al potere) che per decenni hanno partecipato al gran banchetto nazionale sulla pelle di chi lavora, produce e rispetta le leggi, abbiano avuto un’illuminazione pasquale di carattere etico.
Lo fanno perché hanno un grumo di intelligenza più degli altri e non intendono fare la impietosa fine annunciata delle facce che da dieci anni ci propongono ogni giorno.
E forse, sono dotati anche una visione più ampia.
Sanno che nel vuoto di potere che inevitabilmente si aprirà, avranno gioco facile ad inserirsi incassando consensi e applausi. Ma per il momento è meglio seguire ciò che accade.
Accontentiamoci delle molliche.
Tremano Bersani e Formigoni. Con i brividi.
Non a caso stanno zitti.
Perché se la magistratura ha il grave problema di non sapere fino a che punto potranno essere liberi di portare avanti il loro lavoro (il che non è problema da poco) dall’altra godono di un enorme vantaggio psicologico: la maggior parte delle persone interrogate sono persone squallide, mediamente degli analfabeti imbecilli, i quali, una volta messi alle strette, rivelano la loro caratura di piccolo-borghesi arraffoni e quindi parlano, chiacchierano, raccontano, perché da bravi mitòmani non si rendono conto della realtà. Essendo cresciuti in un mondo in cui non esiste il diritto, non esiste la legge, non esiste il merito, non esiste l’intelligenza, una volta che devono affrontare la realtà delle cose, inevitabilmente annaspano, boccheggiano, balbettano.
E’ paradossale, quasi irreale. Ma fa parte della realtà dei nostri tempi.
Pensavamo (e speravamo tutti) che sarebbe arrivata una nuova classe dirigente pulita e decorosa che avrebbe fatto piazza pulita del marciume. E invece, tutto accade grazie alle confessioni di oscuri, anonimi valvassori, portaborse.
Lusi già in soffitta, Penati già messo in frigorifero pensando che bastava l’adorazione acritica del ragionier Mario Monti per garantirsi l’incolumità; lo scandalo di Finmeccanica addirittura dimenticato perché toccava il cuore dell’Udc.
E invece, tutto ciò, adesso ritorna a galla.
Perché sono tutti collegati.
E in Lombardia soprattutto, tutti i nodi finiscono per arrivare al pettine quotidiano del mostruoso accordo tra Formigoni a nome dell’opus dei e del suo memento domini e il management del PD che ha fatto da sponda alla Lega Nord, dividendosi poi i frutti.
Da bravi commensali alla pari.
L’aveva già ampiamente spiegato, in un suo eccellente libro di denuncia, frutto di un ottimo lavoro investigativo, il giornalista Ferruccio Pinotti (in collaborazione con il collega Giovanni Viafora) in un libro pubblicato dalle edizioni “Chiarelettere” nel 2010. Titolo del libro “La lobby di Dio”. L’autore non è finito tutte le sere da Santoro o da Floris. Anzi. Per via di questo eccellente lavoro è stato isolato ancora di più e accantonato da una parte.
Non era il momento giusto.
Il che ne aumenta il valore.
Ecco un estratto di quel libro ingiustamente passato sotto silenzio per un accordo complessivo della truppa mediatica asservita di questo paese ingrato.
Oggi, questo libro, aggiunge spezie e condimento alla triste realtà della cronaca.
… La storia dimostra che tra Lega Nord e Cl il rapporto è sempre stato piuttosto contrastato, se non proprio ostile (Bossi in un comizio nel ’96 dette ai ciellini degli «sporcaccioni»). Dietro le quinte però i due mondi hanno lentamente – e sotterraneamente – cominciato ad avvicinarsi. Già in alcuni episodi del passato si riescono a intravedere i germi di quello che sarebbe diventato il nuovo patto di ferro. Uno di questi è quello accaduto nel lontano agosto del 1990, quando per la prima volta venne teorizzata «l’alleanza tra Comunione e liberazione, Liga veneta e Lega lombarda». Si tratta di un episodio ormai dimenticato, ma significativo per la sua natura profetica, che vide protagonista uno dei più noti vaticanisti italiani, Vittorio Messori. Invitato all’undicesima edizione del Meeting di Rimini a discettare – insieme al cardinale marchigiano Pietro Palazzini – sulla figura del beato Francesco Fà di Bruno, il giornalista riservò l’ultima parte del suo intervento ad un’analisi del processo di unificazione dell’Italia. «Il crimine del Risorgimento – disse – fu quello di lottare contro la sola cosa che in fondo univa gli italiani: il legame dato da una fede che non a caso si chiama “cattolica”, universale. Eppure fu proprio questo il legame che le logge, le minoranze che ci imposero quel tipo di unità, cercarono di distruggere».
Così il noto vaticanista arrivò alla conclusione: «Ci vuole un’alleanza tra il movimento di Comunione e liberazione, la Liga veneta e la Lega lombarda al fine di riparare i guasti del suddetto Risorgimento». Una proposta choc, che lì per lì non venne raccolta. Se non da un eccentrico avvocato veneto di Portogruaro, un certo Riccardo Scarpa, che qualche giorno dopo la relazione di Messori al Meeting depositò in tribunale una denuncia contro il vaticanista (e anche contro il cardinale Pietro Palazzini) per «attentato all’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato ». Ma quella previsione, a distanza di anni, sembra essersi configurata in pieno. Nella sostanza, infatti, essa definiva uno dei futuri punti di incontro tra Lega e Cl, ossia la destrutturazione dello Stato, attuata tramite il federalismo o la secessione per gli uni; e tramite il principio della sussidiarietà per gli altri, con la delega al sistema di potere di Cl e Cdo di vasti pezzi della sanità e dell’assistenza sociale. A unire Cl con la Lega, tuttavia, non sono state solo le astrazioni concettuali, ma un vero e proprio scambio alla pari sullo scacchiere dei grandi business e degli equilibri politici e istituzionali. È stata Cl a porgere per prima la mano. Precisamente nel novembre 2008, quando nulla ancora lasciava presagire un possibile cambio di indirizzo politico del movimento, fino a quel momento schierato compatto dalla parte di Berlusconi. La riconciliazione della Lega con Cl avvenne durante un convegno «Federalismo fiscale e sussidiarietà», organizzato a Verona dalla Cdo. I ciellini vi invitarono a parlare il sindaco leghista Flavio Tosi e lo fecero interloquire con Giorgio Vittadini, storico leader ciellino.
Fu quasi un colpo di fulmine: Tosi e Vittadini si trovarono sul palco «a dire praticamente le stesse cose, a condividere il primato del pragmatismo sulle ideologie». E alla fine ci pensò lo stesso Vittadini a spiegare la ragione di quell’invito.«Noi dialoghiamo a tutto campo e la Lega al di là degli aspetti folcloristici tipo ampolle del Po, quando ragiona sui fatti è assolutamente interessante. Non possiamo non essere interessati a un federalismo molto sussidiario». Cl si è convinta così che la Lega poteva incarnarne il vero orizzonte politico post-berlusconiano; la Lega, dal canto suo, ha capito invece che per «ambire a diventare quello che trent’anni fa era la Democrazia cristiana» non poteva prescindere dal rapporto con un ambiente cattolico come quello di Cl, che «continua a rappresentare un considerevole blocco sociale e, perché no, di voti». Il sigillo sul nuovo «patto di ferro» si è rivelato quindi solo una questione di tempo: è stato sufficiente aspettare il Meeting del 2009, quello del trentennale a cui hanno preso parte ben quattro big del partito guidato da Umberto Bossi. E cioè: Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione normativa; Flavio Tosi, sindaco di Verona, e i due futuri governatori leghisti del Nord, Luca Zaia e Roberto Cota.
Questo è il capitoletto introduttivo all’inizio, ma più che sufficiente per cominciare a capire ciò che c’è dietro.
Ne vedremo delle belle.
Per il momento non è che l’inizio. Sergio Moligliani
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